Con qualche breve annotazione vorremmo qui spiegare perché il Comitato d’Amore per Casa Bossi sarà tra i soci fondatori della Fondazione Nuovo Teatro Faraggiana. Serve innanzitutto partire dal fatto che, dall’estate del 2013 all’autunno scorso, Casa Bossi è di fatto diventata il secondo “teatro” cittadino, pur nei limiti dei suoi spazi e delle sue possibilità e limitatamente al periodo aprile-ottobre. Ora di fronte alla imminente riapertura siamo felici che questa funzione di “secondo teatro” torni a essere orgogliosamente esercitata dal Faraggiana in piena armonia con la grande rappresentatività del Coccia, ognuno secondo le proprie migliori vocazioni.
Per tenere fissa l’attenzione sul recupero e la valorizzazione di Casa Bossi è nato il programma Ri-costruzione come forma-palinsesto di animazione socio-culturale finalizzato a sviluppare attraverso pluralità di linguaggi, modelli e forme espressive nuovi contenuti e senso di comunità. La musica, il teatro, la letteratura e la libera discussione hanno rappresentato le principali aree di iniziativa. In poco meno di 3 anni di attività sono stati organizzati più di 50 eventi in collaborazione con associazioni, ensemble, compagnie e con il coinvolgimento di circa 10.000 persone e almeno 200 artisti e professionisti nei diversi settori espressivi.
Va da sé che nella prospettiva del Nuovo Teatro Faraggiana perfettamente funzionante questa attività potrebbe trovare opportuno strumento di ottimizzazione e implementazione verso tutti i produttori e promotori di cultura del territorio con i quali potrebbero innescarsi interessanti dinamiche collaborative tra spettacoli all’aperto e al chiuso, tra attività laboratoriale e spettacolo finito, tra scuola e artisti, tra teatro di luogo e teatro di scena, e tanto altro. Questo per limitarsi a presentare i fatti, ma c’è molto di più. Nelle ragioni profonde di questo legame c’è l’energia di un gruppo di cittadini che ha riconosciuto il valore del patrimonio culturale nella forma di “chiamata diretta” come centro di passione e di competenza in forza del loro ruolo di autori, critici, storici, artisti, attori, musicisti, operatori della cultura, progettisti, scenografi, registi, comunicatori, giornalisti, letterati, operatori di scena, ricercatori, ecc.
Stiamo andando verso un’economia che tende a sviluppare nuove forme di “disintermediazione” (da Uber per i trasporti ad Airbnb per la ricettività) e ciò porta direttamente o indirettamente alla multiforme riflessione sullo spazio per il “comune” (e per i beni comuni), ovvero dal grande dibattito contemporaneo sui Beni Comuni animato da studiosi, pensatori e intellettuali di prim’ordine (da Stefano Rodotà a Gregorio Arena, da Salvatore Settis, a Gustavo Zagrebelsky da Ugo Mattei a Tomaso Montanari e tanti altri).
Tale approccio è stato per così dire “esploso”, proprio nell’anno che si sta chiudendo, dalla monumentale opera di Pierre Dardot e Christian Laval: “Del comune o della rivoluzione nel XXI secolo” (Pierre Dardot e Christian Laval, Del comune o della rivoluzione nel XXI secolo, DeriveApprodi, 2015). Si chiedono gli autori: Qual è allora oggi lo spazio per il “comune” (e per i beni comuni)? individuando nella “prassi collettiva” la risposta più adeguata alla loro precedente domanda “retorica”. In sintesi la tesi di fondo del libro dice che bisogna ripensare il “comune” al di fuori del “bene” e sviluppare il concetto di “uso comune” incarnandolo nell’agire in concerto.
La questione del teatro come Bene Comune ha radici lontane e riconducibili a fattori pressoché antropologici della città antica, se un grande storico visionario come Lewis Mumford (Lewis Mumford, Il dramma urbano, da: La città nella storia, Edizioni di Comunità, Milano 1963, Etas Kompass, Milano 1967; Bompiani, Milano 1981) arriva proprio a definire il “dramma urbano” come fattore fondativo della città stessa. Le attività caratteristiche della città antica hanno una qualità particolare e dice Mumford: sono inserite in uno stato di tensione e di azione reciproca che porta periodicamente a una crisi o a un acme. Ciò viene espresso, in una delle prime fasi dell’evoluzione urbana, da una nuova arte, l’arte del dramma. (….) Questo passaggio dal rituale al dramma, dallo stabile e dal ripetitivo al dinamico, all’avventuroso, al razionalmente critico, all’autocosciente e al riflessivo, o anche, fino a un certo punto, al non conformista, fu uno dei principali risultati della città.
La vicenda Faraggiana non è quindi molto diversa da quella che si dovrebbe affrontare per altri importanti contenitori della città (il Castello, Casa Rognoni, l’ex Macello, le ex caserme e ancora i tanti edifici ex industriali di Sant’Agabio, fino al caso supremo dell’area dell’attuale ospedale nel momento in cui dovesse sorgere finalmente quello nuovo) e si caratterizza per i tanti fattori di transizione “epocale” che determinano incertezza e assenza di economie di scala. Ricordando che l’etimologia della parola “crisi” è “cambiamento”, ci si potrebbe chiedere: come è possibile disegnare un progetto in un mondo in cui i cambiamenti sono così rapidi? Come è possibile progettare se la domanda è emergente e sostanzialmente non interrogabile? Serve allora delineare processi più che progetti, dove l’approccio per tentativi diventa il nuovo paradigma possibile o desiderabile. Servono strumenti per “accompagnare” i processi, per allargare la ricerca di protagonisti e di soggetti attivi, per ridurre i rischi e per correggere gli inevitabili errori strada facendo. Gli amici incontrati nelle tante occasioni del percorso che ci porta oggi alla costituzione della Fondazione Nuovo Teatro Faraggiana si sono riconosciuti nell’esempio dell’esperienza che è stata condotta a Casa Bossi in questi anni, sia per trarre alcune utili indicazioni operative, e sia per trovare ragioni di incoraggiamento nel momenti difficili.
Intorno a questo importante momento di rinascita del Nuovo Faraggiana abbiamo deciso che a Casa Bossi il programma “Ri-costruzione” dal 2016 avrà una nuova denominazione. Il processo di palingenesi sotteso al suo significato è di fatto avvenuto: con risorse pubbliche quasi nulle e molte energie dal basso, Casa Bossi è uno spazio poetico perfettamente funzionante con molteplici usi già possibili. Ciò che abbiamo di fronte è che in simbiosi con il nuovo Teatro tutti i circuiti di produzione culturale novaresi potranno trarre nuova linfa ed energia: non sprechiamo questa straordinaria occasione e impegniamoci per sviluppare nuove produzioni culturali e per fare di Novara una città, accogliente, solidale e creativa.
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